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(foto: Mika Baumeister/Unsplash)

Siamo di fronte all’ennesima questione di dibattito pubblico riguardo al vaccino anti Covid-19 targato Oxford-AstraZeneca. Il premier Mario Draghi ha comunicato la possibilità, per le persone sotto i 60 anni che abbiano già ricevuto una prima dose del vaccino anglo-svedese Vaxzevria, di compiere una scelta attiva su quale formulazione ricevere nella seconda somministrazione. Così, la domanda se continuare con lo stesso vaccino oppure optare per una strategia eterologa a vaccinazione mista è diventata di primo piano.

In pratica, cosa scegliere tra la combinazione AstraZeneca + AstraZeneca e quella AstraZeneca + vaccino a mRna? Dove quest’ultimo, di fatto, a oggi significa optare per la formulazione di Pfizer, anche se in generale potrebbe essere pure quella di Moderna così come altri vaccini che dovessero arrivare a breve sul mercato.

Anticipiamo subito che, naturalmente, una risposta univoca non c’è. Non esiste di per sé un meglio o un peggio, un giusto e uno sbagliato, se non per quanto riguarda il completamento della vaccinazione: ricevere anche la seconda dose è fondamentale per raggiungere un buon livello di protezione contro la malattia, e qualunque vaccino è meglio di un non-vaccino. Non a caso, l’idea stessa di concedere questa libertà di scelta deriva dalla volontà di portare quante più persone possibile a vaccinarsi, convincendo anche quelle persone esitanti che sono perplesse davanti all’idea di cambiare formulazione vaccinale tra prima e seconda dose.

Ecco allora alcuni aspetti da tenere in considerazione prima di scegliere, cercando di stare alla larga da sfiducia immotivata, opinioni di pancia e falsi miti.

La solidità dei dati scientifici

In questo caso tra vaccinazione omologa ed eterologa, almeno per il momento, non c’è paragone. Dato che la somministrazione di una doppia dose di Vaxzevria è oggetto di studio da molti mesi, mentre la vaccinazione mista è un’opzione esplorata solo da qualche settimana, quantità e qualità delle evidenze scientifiche che abbiamo raccolto finora sono molto diverse. Per la doppia dose della formulazione di AstraZeneca abbiamo alle spalle studi di fase 3 che dimostrano il livello effettivo di efficacia, abbiamo milioni di dosi somministrate solo nel nostro paese (e molte di più all’estero) e dunque una solidità piuttosto avanzata in termini di dati su efficacia, risposta immunitaria, effetti avversi e qualunque altro aspetto rilevante. Questo nonostante le scelte delle agenzie regolatorie e dei decisori politici, nazionali e non solo, siano parse quantomai altalenanti.

Per la vaccinazione eterologa, invece, tutto ciò che esiste al momento sono in sostanza delle evidenze preliminari: studi appena iniziali e precedenti rispetto alla fase 3, un numero piuttosto esiguo di persone coinvolte in queste sperimentazioni, alcuni preprint e poco altro. Parliamo di studi che hanno comunque una propria autorevolezza, e soprattutto sembrano essere tutti piuttosto concordi, ma si tratta di campioni di decine o al più centinaia di persone prese in considerazione. Nulla a che vedere, insomma, con i numeri mastodontici di cui disponiamo per la doppia dose AstraZeneca.

L’efficacia della vaccinazione

Premesso che i dati scientifici hanno una diversa solidità, è vero però che al momento le evidenze sembrano indicare che la vaccinazione mista abbia un effetto protettivo ben superiore rispetto alla doppia dose AstraZeneca. In termini quantitativi, si parla di una differenza nella risposta immunitaria indotta che arriva a essere anche di un fattore 4.

Secondo uno studio in preprint (dunque non ancora pubblicato e in attesa di revisione dei pari) condotto in Germania, per esempio, a tre settimane dalla somministrazione della seconda dose la strategia eterologa si traduce in un maggior numero di anticorpi, in una risposta immunitaria cellulare maggiore e in una qualità superiore degli anticorpi stessi, che si traduce poi in un’efficacia superiore sia contro il virus Sars-Cov-2 originale sia contro le sue varianti. In termini quantitativi, tra le 87 persone coinvolte nello studio chi ha ricevuto una vaccinazione mista ha incrementato i propri anticorpi di 11 volte grazie alla seconda dose, mentre chi ha proseguito con AstraZeneca li ha solo triplicati (un incremento di 2,9 volte, per la precisione).

Sul tavolo ci sono già due possibili spiegazioni del perché la vaccinazione mista stimoli una risposta immunitaria più forte. Si tratta, a questo stadio, di semplici ipotesi ragionevoli, su cui però le evidenze scientifiche sono ancora tutte in divenire. La prima spiegazione è che utilizzare due piattaforme vaccinali differenti (un vettore virale di tipo adenovirus prima e un vaccino a mRna poi) stimoli due bracci diversi della risposta immunitaria, prima quella mediata dalle cellule e poi quella anticorpale. Dato che la protezione complessiva dal Covid-19 dipende dalla somma di queste due risposte, la vaccinazione eterologa potrebbe dunque corrispondere a una risposta immunitaria più varia e completa, dunque migliore. L’altra ipotesi, che non è alternativa ma complementare alla prima, è che la seconda dose di AstraZeneca abbia le ali tarpate perché il sistema immunitario attiverebbe una risposta immunitaria aggiuntiva contro il vettore adenovirale in occasione della prima dose, e di conseguenza la seconda somministrazione verrebbe in parte osteggiata dal sistema immunitario stesso. Questo effetto verrebbe invece scongiurato dalla vaccinazione mista, che quindi garantirebbe una protezione più efficace.

Gli effetti avversi

Questo punto, naturalmente, è uno dei più delicati. Come ben noto, sono stati proprio i rarissimi effetti avversi gravi (le trombosi) imputabili alla formulazione di AstraZeneca a indurre la sospensione della somministrazione d’ufficio del vaccino anche per gli under 60. Dunque, la vaccinazione eterologa è stata proposta proprio per evitare di esporre le persone a questo piccolissimo rischio di trombosi con la seconda dose AstraZeneca. Un rischio – lo ribadiamo – nell’ordine di uno ogni 100mila, che riguarda la sola formulazione anglo-svedese e che dunque potrebbe indurre a scegliere per questo la via eterologa.

Quando si parla di effetti avversi, però, si include anche tutta quella gamma di sintomi collaterali indotti dalla vaccinazione, il più delle volte non gravi e che si si risolvono da sé. Le casistiche qui sono numerosissime, ma prendiamo in considerazione come esempio l’effetto avverso della febbre. Secondo uno studio condotto a Oxford e pubblicato a maggio dal Com-Cov Study Group a partire da un campione di oltre 400 persone, AstraZeneca + Pfizer ha dato febbre dopo la seconda dose nel 34% dei casi, mentre AstraZeneca + AstraZeneca solo il 10% delle volte. (Per la cronaca, anche se non è questa la scelta da compiere, Pfizer + Pfizer ha dato febbre il 21% delle volte, mentre l’eterologa inversa Pfizer + AstraZeneca il 41%.) L’aspetto più interessante, come hanno commentato gli scienziati, è che le proporzioni sono rimaste le stesse anche considerando altri effetti avversi lievi, come mal di testa, dolori muscolari, stanchezza e brividi.

Il fatto che la vaccinazione mista dia effetti avversi lievi più frequenti non è però una cattiva notizia, anzi: è piuttosto la conferma di una maggiore reattogenicità di questa combinazione eterologa rispetto alla doppia somministrazione AstraZeneca. Sul rovescio della medaglia, invece, c’è il fatto che ancora non esistono dati per quanto riguarda gli eventuali effetti a medio e lungo termine della vaccinazione mista, dato che si è iniziato a studiarla solo di recente.

L’incognita della durata e l’eterologa inevitabile

Gli aspetti che si possono considerare sono poi molti altri. Per esempio, resta al momento incognita la questione se la vaccinazione mista aumenti o diminuisca la durata della protezione immunitaria. In astratto non dovrebbe esserci alcuna differenza, perché in ogni caso il risultato finale della vaccinazione è quello di addestrare il sistema immunitario a riconoscere la medesima proteina spike del virus Sars-Cov-2. All’atto pratico, però, a oggi non ci sono dati per sapere se ci sia uno scarto di qualche mese nella durata della protezione, né tantomeno da quale parte sia lo scarto stesso.

Infine, ma non certo per importanza, c’è la questione di che cosa accadrà a lungo temine dal punto di vista più generale della pandemia e della campagna vaccinale. Se, come ritenuto probabile, saranno necessarie ulteriori somministrazioni vaccinali nei mesi e negli anni a venire, è improbabile che si possa continuare a ricevere la formulazione AstraZeneca, che di fatto verrà abbandonata almeno in tutta l’Unione europea. In prospettiva, dunque, chi ha ricevuto la prima dose di vaccino Vaxzevria si ritroverà comunque prima o poi con grande probabilità in una condizione eterologa, e la scelta a cui si è di fronte adesso è in sostanza se passare fin da subito alla somministrazione mista, o se continuare per ora sulla via del vaccino omologo e posticipare la vaccinazione mista a un non meglio precisato futuro.

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In Italia viene lasciata la libertà di decidere quale tipo di vaccino ricevere dopo una prima dose di Vaxzevria (Oxford-AstraZeneca). Ecco alcuni punti da considerare, tra pro e contro, nello scegliere se continuare con la stessa formulazione o passare a quelle a mRna come Pfizer e Moderna
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