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(foto: Steven Cornfield/Unsplash)

Le regole per la gestione della pandemia, si sa, sono quantomai fluide e mutevoli, e variano sulla base di evidenze scientifiche, di nuovi dati epidemiologici e di questioni a cavallo tra politica e sentire comune. Ed è così che per il green pass – già oggi con regole diverse tra il nostro paese e il resto d’Europa – pare non esserci pace: a pochissimi giorni dalla sua introduzione in Italia (e a poche ore dall’entrata in vigore di quello dell’Unione europea) si parla già di modificare i requisiti per ottenerlo. Ma andiamo con ordine.

La differenza tra green pass italiano ed europeo

Per farla breve, il green pass italiano è stato tarato in modo da essere meno restrittivo – e quindi da includere più persone – rispetto a quello che vale in generale nel Vecchio Continente. In entrambi i casi può essere ottenuto dimostrando di essere guariti dal Covid-19 da meno di 6 mesi (tramite opportuno certificato di guarigione), di avere un tampone (molecolare o antigenico) con esito negativo da meno di 48 ore, oppure in seguito alla vaccinazione. Ma se il green pass per muoversi tra paesi comunitari richiede siano trascorsi 15 giorni dalla seconda dose di vaccino (eccezione fatta per la formulazione monodose di Janssen), quello italiano può essere ottenuto già a 15 giorni dalla prima dose, anticipando quindi quell’altro di alcune settimane – il numero esatto dipende dalla particolare formulazione vaccinale ricevuta.

Il motivo di queste regole più permissive per il nostro paese è che, restando entro i confini nazionali, si intende permettere a una platea più ampia di persone di accedere al pass, dato che il pass stesso è condizione necessaria per partecipare a eventi sportivi, eventi musicali, feste o celebrazioni come i matrimoni. Una decisione che è un sostanziale chiudere un occhio, vista l’evidenza scientifica che i vaccini raggiungono la massima efficacia solo dopo la doppia dose. Ma che è parsa giustificata non solo dal desiderio collettivo di ripartire con le occasioni di incontro e di socialità, bensì pure dall’attuale trend favorevole in termini di numero di nuovi casi, di decessi e di occupazione delle terapie intensive.

Per dare una stima numerica grezza, le persone che in Italia al momento possono accedere al green pass in qualità di vaccinati grazie a questa regola allentata sono grossomodo 14 milioni in più. Ed è proprio questo gruppone di italiani a spiegare come mai il green pass abbia già oggi ottenuto un numero molto alto di download elettronici, quantificato in 13,7 milioni dal ministro della Salute Roberto Speranza con i dati aggiornati alla fine della settimana scorsa.

I motivi per ragionare sul cambio di regole

Ciò che diversi scienziati, membri del comitato tecnico scientifico e rappresentanti delle istituzioni hanno paventato nelle ultime ore, a partire dal Sottosegretario alla salute Pierpaolo Sileri, è la possibilità di riallineare le regole per il green pass italiano a quelle europee, ossia posticipare il via libera dalla prima alla seconda dose di vaccino.

Le ragioni alla base di questa valutazione, che al momento è solo allo stadio della mera ipotesi, sono almeno tre. Anzitutto, le attuali regole sono frutto di una valutazione datata di oltre due mesi. Mesi in cui, soprattutto dal punto di vista delle varianti del Sars-Cov-2, la situazione pare essere progressivamente mutata. Dunque non è di per sé una sorpresa che le regole possano essere riadattate periodicamente, anche se al momento l’idea suona un po’ balzana dato che il green pass europeo di fatto deve ancora entrare in vigore, e lo farà da giovedì 1 luglio.

Il secondo motivo è di fatto l’incertezza scientifica che ancora resta riguardo all’efficacia delle diverse formulazioni vaccinali nei confronti delle varianti, sia per quelle già a più ampia diffusione sia emergenti. In generale i vaccini a rna messaggero sembrano comunque garantire una buona protezione se somministrati in doppia dose per tutte le varianti finora note, ma è ormai assodato che le performance di copertura siano inferiori se ci si limita alla sola prima dose. Infine, ma forse primo per importanza, è il fatto che in altri paesi che avevano allentato le misure si stia verificando una risalita della curva epidemica, dunque si vorrebbe scongiurare che ciò accada anche in Italia, o quantomeno attivare tutte le precauzioni necessarie per contenere il più possibile la diffusione del virus.

Come per le zone a colori e per le mascherine, naturalmente le regole e le convenzioni sono un compromesso tra l’evidenza scientifica, la volontà politica, la circolazione effettiva del virus e le necessità che si manifestano in termini economici e sociali. Difficilmente quindi l’indicazione sul se e sul come variare gli attuali parametri potrà arrivare unilateralmente dal mondo scientifico, ma sarà giocoforza frutto di una mediazione. Soprattutto in un momento dell’anno in cui il tema viaggi, spostamenti, eventi e manifestazioni è più al centro dell’attenzione che mai.

Cosa aspettiamo

Nessuna decisione sul green pass italiano sembra comunque imminente. C’è chi parla di aspettare una settimana, chi di attenderne due, chi (come il ministro Speranza) chiarisce già che si tratterà di una valutazione passo passo con più di una variazione possibile. Nel mentre, gli osservati speciali sono soprattutto tre: l’andamento della curva dei contagi nel Regno Unito, dove la variante delta (e la delta plus) sembra essersi diffusa in modo particolarmente ampio e dove quindi possiamo osservare in anticipo ciò che potrebbe accadere nel nostro paese. Poi l’andamento dei contagi lungo tutta la penisola, facendo attenzione in particolare a possibili avvisaglie di interruzione della discesa delle curve o addirittura di un’inversione di tendenza. A oggi per esempio si stima, attraverso dati preliminari, che la prevalenza della variante delta in Italia sia prossima al 20%. E infine il perfezionamento delle evidenze scientifiche quantitative a proposito dell’efficacia della dose singola e della dose doppia di ciascun vaccino verso le varianti monitorate con più attenzione.

Le ipotesi possibili per la rimodulazione del green pass italiano sono ovviamente ben più numerose della scelta dicotomica tra 15 giorni dopo la prima dose e 15 giorni dopo la seconda. Per esempio, in linea teorica potrebbe essere inserita – nel caso le evidenze scientifiche lo suggerissero – una differenziazione in base al tipo di vaccino ricevuto, o ancora si potrebbe modificare la distanza temporale tra le due dosi. In pratica, se finora aveva senso mantenere le due dosi più distanziate (entro il range di tolleranza indicato dalle autorità regolatorie) per vaccinare con la prima dose quante più persone possibile, nel caso ci si uniformasse al green pass europeo sarebbe conveniente ravvicinare le due somministrazioni, per permettere di ottenere il green pass più fretta.

Il tutto senza però trascurare un paio di importanti questioni comunicative. Creare regole complesse o mutevoli potrebbe generare confusione, come peraltro parrebbe suggerire la già ampissima varietà di casistiche in cui le persone possono trovarsi. E poi la corsa al green pass potrebbe lasciare passare l’idea che con il certificato verde si possano dimenticare quelle regole di prevenzione che invece restano in vigore e decisive: mascherine nei luoghi al chiuso o con troppe persone, igiene, attenzione a eventuali sintomi e via dicendo.

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C’entrano le varianti del coronavirus Sars-Cov-2, l’efficacia dei vaccini e la necessità di essere più prudenti possibile. A quanto pare però nessuna nuova decisione verrà presa prima di aver capito meglio cosa stia succedendo con la variante delta in Italia
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