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Sanzioni complessive per 228 milioni di euro a Fastweb, Tim, Vodafone e WindTre sono state annullate da parte del Tar del Lazio, che ha accolto i ricorsi dei quattro operatori delle telecomunicazioni contro un precedente provvedimento dell’Antitrust. L’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (Agcm) aveva inflitto le sanzioni il 28 gennaio 2020 riguardo una presunta intesa anticoncorrenziale fra le compagnie, relativa al repricing effettuato in occasione del ritorno alla fatturazione mensile. Ora invece, secondo il tribunale amministrativo, ci sono in quella delibera aspetti di “illogicità” e ricostruzioni sostanzialmente indimostrate, tali da invalidarla.

Il caso risale al 2015-2017, periodo in cui Tim, WindTre, Vodafone e Fastweb adottarono una cadenza di quattro settimane per il rinnovo e la fatturazione delle offerte ricaricabili nella telefonia mobile, prima mensile, ricavando un aumento dell’8,6% visto che i rinnovi con questa modalità passavano da 12 a 13 in un anno. L’Agcom intervenne stabilendo che l’unità temporale per i contratti di rete fissa e ibrida (fissa e mobile) dovesse essere il mese e che, per la telefonia mobile, non potesse essere inferiore ai 28 giorni. In una ridda di ricorsi al Tar e mancati adeguamenti, si giunse alla legge 172 del 2017 che impose un obbligo su base mensile sia nelle telecomunicazioni che nelle pay-tv.

Secondo l’Antitrust non era finita qui, perché nella fase di ritorno alla fatturazione mese per mese, le compagnie avrebbero concordato di mantenere l’aumento dell’8,6%, salvando, nel riformulare il prezzario, la “13esima mensilità” e dando vita a un’intesa che restringeva la concorrenza. Un provvedimento cautelare, prima provvisorio poi confermato nell’aprile 2018, intimò a Tim, Vodafone, WindTre e Fastweb di sospendere l’intesa. Seguirono poi le sanzioni: 114,3 milioni di euro a Telecom, 59,9 a Vodafone, 38,9 a Wind e 14,7 milioni a Fastweb.

Con quattro sentenze il Tar ha invece accolto i ricorsi delle compagnie contro i due provvedimenti. I giudici amministrativi ravvisano un “evidente difetto di istruttoria” nella delibera dell’Autorità che desume l’intesa “esclusivamente sulla base di un documento”, “del tutto inutilizzabile poiché “esterno al periodo temporale di svolgimento della presunta pratica concordata”, osservando che “la segretezza dell’intesa risulta del tutto indimostrata”. Inoltre, la decisione di Agcm di ritenere sussistente un’intesa sul riproporzionamento dell’8,6% è in contraddizione con il parere reso da AgCom, che ha “sconfessato” l’esistenza del “repricing” e la tesi per cui il fattore prezzo, da solo, “rappresenterebbe la variabile sulla base della quale i consumatori sono indotti alla migrazione”.

Secondo il tribunale, le considerazioni raccolte “al più, deporrebbero per l’individuazione di una pratica scorretta ai sensi del Codice del consumo”, i cui effetti ricadono a danno dei consumatori”. Tuttavia, non sono idonee “a sostenere l’esistenza di una pratica concordata fra gli operatori per mantenere fermo l’aumento al preciso scopo di evitare la fuoriuscita di clienti verso la concorrenza”. In sostanza, “mancano nel provvedimento elementi indiziari, gravi precisi e concordanti, tali da delineare un quadro sufficientemente chiaro”. L’Agcm non è quindi stata in grado di contrastare la tesi delle parti che al contrario hanno fornito una spiegazione “alternativa” che, in assenza di altri elementi, “appare plausibile”.

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I giudici del Tribunale amministrativo del Lazio hanno annullato la sanzione comminata dall’Agcm per un presunto accordo tra quattro compagnie telefoniche
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