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C’è una ragione se, nonostante non sia mai stato protagonista di successi grandissimi, non sia mai stato un soggetto da gossip, non abbia mai avuto chissà che popolarità televisiva e infine non abbia nemmeno girato chissà quanti film, il volto di Libero De Rienzo è uno dei più riconoscibili. È semmai il suo nome a non essere conosciuto proprio da tutti, ma la faccia quella sì, perché in una carriera corta, chiusa terribilmente adesso a 44 anni con un infarto, ha incarnato un modello umano a cui il cinema italiano non è abituato e che nessuno, almeno adesso, può rimpiazzare. In un mondo audiovisivo in cui gli attori puntano quasi tutti ai medesimi ruoli e li interpretano nella medesima maniera, Libero De Rienzo era unico e originalissimo. Ogni suo ruolo ha dentro di sé la sua personalità.

È un figlio d’arte, il padre (Fiore De Rienzo) era stato (tra le altre cose) aiuto regista di Citto Maselli. Al figlio invece bastarono due anni per esplodere con quel volto bello ma quel fare trasandato, con il male di vivere addosso ma anche una predisposizione eccezionale per la commedia, tempi e ritmi da comico con profondità da grande attore. Esordisce con Pupi Avati e poi una commedia italiana poco nota ma che è un piccolo gioiello, Asini, in cui ha un ruolo minore ma a fuoco. Salta tra parti piccole in produzioni di medio livello e ruoli un po’ più importanti nel sottobosco del cinema indipendente italiano, è la classica gavetta che lui interrompe con Santa Maradona di Marco Ponti.

Era il 2001 e per chi ha visto il film all’epoca (uno dei rarissimi esempi di vero cult generazionale italiano) quello è il ruolo della vita di Libero De Rienzo, la parte per cui viene ricordato e che in un certo senso ha segnato la sua carriera. È la storia di due ragazzi senza troppe prospettive a Torino, uno più preciso (Accorsi), l’altro anarchico e perditempo pieno di idee stupide ed inventive (Bartolomeo detto Bart). È un film sull’onda del cinema anni ‘90 internazionale, i cui c’è Trainspotting e Tarantino, che trova una chiave italiana perfetta per quegli umori e ha nei due attori le micce esplosive. Stefano Accorsi era già molto noto e De Rienzo gli si mette accanto senza sfigurare, anzi. Il suo Bart è un personaggio come il cinema italiano non ne aveva conosciuti e sembra calzargli come un guanto, ha la faccia del primo a prendere un pugno in un rissa ma anche del più sbruffone.

Vincerà il David di Donatello come miglior attore non protagonista e diventerà la nuova sensation del nostro cinema per qualche anno, il tempo che la sua personalità ruvidissima e ben poco conciliante non lo riporti ai margini. Lavora pochissimo e non sempre con grandi risultati, non è il tipo che può andare a fare commedie di facile incasso e non ha la malleabilità di adattarsi a diversi registi, produzioni e stili. Gira anche un film da regista, Sangue – La morte non esiste (con un ancora poco noto Elio Germano come protagonista), una follia anarchica con ambizioni molto superiori alle capacità. È un insuccesso.

Da quella vittoria del David che sembrava lanciarlo ci vorranno 8 anni lunghissimi anni per un altro grande ruolo (e un altro David, stavolta da protagonista). È Fortapasc, in cui si decide ad interpretare qualcosa di più convenzionale, il giornalista Giancarlo Siani ucciso dalla camorra. È un film classico italiano da premi e infatti li prende. È un ruolo lontano dai soliti suoi, molto preciso e inquadrato ma lo interpreta benissimo, dimostrando di non essere monodimensionale ma di aver scelto certi personaggi. Lui che era emerso come un punk pigro deve ripulirsi per entrare nel salotto del cinema italiano dalla porta principale.

Non servirà però a molto, ovviamente, il cinema italiano davvero non sa che farsene di uno così. Uno spinoso che però può dare tantissimo. Ci vuole un pazzo per prendere un pazzo, e non è un caso se viene scelto per uno dei film più rivoluzionari e clamorosi degli ultimi anni, Smetto quando voglio. È la terza volta che “scoperto” di Libero De Rienzo, cool e scemo al tempo stesso, matematico con la passione per il gioco e un’amante zingara, sempre gonfio in faccia di botte, sempre con sigaretta in bocca e idee stupide in testa realizzate però con grande perizia. Non si dubita nemmeno per un secondo della plausibilità di quel personaggio assurdo per Libero De Rienzo unisce come pochi una coolness da cinema duro con la stupidità della commedia, perché è plausibile sempre, qualunque cosa faccia. Da quel film in poi lavora di più e fa mille parti piccole in mille film, si decide a portare la sua maestria un po’ ovunque migliorando (per quel che può fare un attore comprimario) ogni film cui partecipa. Ogni tanto poi sceglie progetti assurdi e vitali come Cristian e Palletta, un film senza senso, una commedia stracciona e demenziale che non ha visto nessuno ma è un gioiello.

L’ultimo film in cui è possibile vederlo è Appunti di un venditore di donne, bellissimo noir italiano uscito da meno di un mese. Ovviamente non è il protagonista ma interpreta un poliziotto corrotto a cui riesce a dare una patina di umanità. Fisico bolso e gonfio di cibo, alcol e sigarette, occhi tristi e sguardo svelto ma soprattutto grandissimo cuore al di là della bastardaggine del personaggio. È una parte proprio da De Rienzo e non è chiaro adesso chi potrà rimpiazzare uno così in questi ruoli. Non c’è un altro Libero De Rienzo, un attore eccezionale con la passione per i marginali, fuori dagli schemi e fuori dalle agendine dei produttori più importanti. Il cinema italiano non perde solo un grande attore ma un tipo umano che sarà più difficile raccontare.

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I nostri attori sono tutti uguali, rappresentano tutti la stessa tipologia umana. Tranne lui, il punk pigro con la sigaretta in bocca, orso dagli occhi tristi e i tempi comici perfetti. L’uomo da amare e odiare
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