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(foto: Getty Images)

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) prevede per l’agricoltura un piano molto ambizioso in termini di innovazione prevedendo, tra le altre cose 500 milioni in termini di macchinari e 1,5 miliardi per il cosiddetto agri-solare, ovvero per la conversione in pannelli fotovoltaici dei tetti delle aziende agricole italiane. Il tema, però sembra essere fuori fuoco. Mentre in Olanda, per esempio, il settore agricolo si è rinnovato, utilizzando colture idroponiche, in Italia l’innovazione langue, nonostante il mercato legato alle startup innovative del settore valga già adesso 500 milioni di euro.

In generale, la visione che hanno i decisori a livello regionale in materia di agricoltura è quella di un settore poco innovativo ma sostenibile, con un focus sbilanciato sull’impresa e non sulla forza lavoro, sia in termini di reddito, garantendo la mobilità lavorativa di chi opera nel settore, sia in termini di formazione continua del personale. Tutto questo emerge nei dati del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, uno dei fondi strutturali dell’Unione europea. Per l’Italia, durante lo scorso settennato di bilancio europeo, sono stati stanziati 20,9 miliardi di euro mettendo il nostro Paese leggermente al di sotto della Francia, destinataria di 21,2 miliardi. Ecco come le regioni italiane hanno speso gli stanziamenti.

Come le regioni hanno speso i fondi agricoli europei

Le priorità delle regioni italiane sono sostanzialmente tre: il sostegno alla piccola e media impresa, la sostenibilità ambientale e il territorio. In regioni montane, come le provincie autonome di Trento e Bolzano o la Valle d’Aosta, il sostegno alle pmi viene superato da tematiche ambientali. Lo stesso accade in Sicilia, Puglia e Calabria, tra le altre.

Accanto a queste priorità, però, si trova poca traccia degli investimenti in ricerca e innovazione. La Toscana che, per esempio, è la più forte in questo senso, per quanto riguarda gli altri fondi strutturali (Fondo sociale e Fondo di sviluppo regionale) ha dedicato solo 19 milioni di euro in tutto il settennato alla ricerca e all’innovazione in campo agricolo. La Lombardia, dove l’Expo dedicato al cibo si è svolto nel 2015, ha dedicato alla ricerca e all’innovazione tecnologica solo 3 milioni di euro, cifra non lontana da quella del Piemonte (3,7 milioni).

Il ruolo della Pac

I soldi del Fondo europeo agricolo per  lo sviluppo rurale provengono dalla Politica agricola comune, la famigerata Pac. La Pac ha due pilastri, il pagamento diretto agli agricoltori e il fondo di sviluppo rurale. Qui ci occupiamo, in modo maggioritario, del secondo pilastro, ovvero il fondo strutturale che sostiene l’agricoltura nelle varie regioni. La Pac è, nei fatti, una misura protezionistica che permette all’agricoltura dell’Unione europea di difendersi da altre aree del mondo. Da sola, rappresenta il 38% del bilancio europeo dello scorso settennato.

La natura protezionistica della Pac la rende difficilmente compatibile con la ricerca e lo sviluppo.  Tuttavia, in Italia questo aspetto assume un significato diverso dati i problemi che ha il settore, tra cui le condizioni di lavoro e lo scarso reddito per chi opera nel settore. In questo senso, non solo si investe poco, ma si investe anche meno di quanto si dovrebbe, come mostra la prossima mappa.

La Toscana, per quanto riguarda il tema ricerca e sviluppo, è quella che fa meno peggio, spendendo poco più del 30% di quanto stanziato sul tema. Per quanto riguarda l’inclusione sociale, a fare meglio di tutti in questo campo è il Veneto, che spende poco più del 53% delle risorse. Il resto è il deserto. Le regioni del Sud, quelle dove il problema del caporalato, per esempio, è più presente non utilizzano i fondi europei dedicati al lavoro agricolo che potrebbero aiutare a limitare il problema.

Una scarsa propensione all’innovazione

Tuttavia, le regioni meridionali non sono un caso isolato. In generale, il mondo agricolo italiano sembra essere molto poco sensibile al tema della ricerca e dello sviluppo e del miglioramento di una forza lavoro per reclutare la quale si ricorre anche al caporalato. Non solo, nonostante il digitale possa essere uno strumento per garantire un futuro al settore, si continua a fare poco in questo ambito.

Il vero problema, però, non è tanto in come le regioni decidono di stanziare i fondi europei quanto, forse, nella progettazione nelle istituzioni europee della Pac. Andando a vedere chi sono i beneficiari ultimi delle politiche agricole comuni complessivamente, si nota che sono fondamentalmente le persone fisiche, non tanto le aziende. Il dato, in Italia, è l’83% del totale, che scende a 61% quando si tratta di chi riceve i fondi. Ma, come mostra il prossimo grafico, non è una tendenza solo italiana.

La visualizzazione precedente utilizza dati del Parlamento europeo elaborati nel 2019 e analizza quali siano i beneficiari ultimi di entrambi i pilastri della Pac. Il grafico mostra un dettaglio molto importante: quasi ovunque in Europa, la maggior parte dei fondi va a persone fisiche. Quella che è una forma protezionistica per difendere la produzione agroalimentare europea, alla fine è una forma di welfare per il singolo agricoltore che, altrimenti, avrebbe molti problemi a sopravvivere alla globalizzazione.

Attenzione all’ambiente

Il secondo pilastro della Pac, quello dei fondi strutturali, ha anche una componente legata alla transizione ecologica. E, infatti, come vedremo nel prossimo grafico, le regioni hanno saputo spendere i fondi per l’ambiente. Andando a vedere come le regioni hanno speso in termini di percentuale per temi, si vede che la voce di spesa che vede il maggior completamento della spesa di fondi stanziati sono le voci legate alla tutela dell’ambiente e al superamento dei combustibili fossili. Questo aspetto è in linea con la parte agricola del Pnrr ed è sicuro tra le più “a prova di futuro” della politica agricola italiana, come mostrano i prossimi grafici.

Il grafico precedente mostra che in Italia i fondi è stata spesa circa la metà dei fondi per la tutela dell’ambiente senza che venissero ridotte gli stanziamenti. Tuttavia, mentre le regioni sono state brave a spendere quei soldi per obiettivi come la transizione ecologica, lo stesso non si può dire per temi come il digitale o con il miglioramento delle condizioni della forza lavoro. E per quanto in termini assoluti gli investimenti a sostegno delle piccole e medie imprese siano prevalenti, questi rappresentano solo una parte degli stanziamenti dedicati.

Per esempio, una delle regioni agricole italiane per antonomasia, il Piemonte, ha speso solo il 54% dei propri fondi per il sostegno alle pmi, mentre per la promozione e all’adattamento al cambiamento climatico è arrivata all’84%. I fondi per gli investimenti sul digitale, invece, sono stati spesi al 50% ma già nel 2018. Questo vuol dire che negli ultimi due anni di settennato i programmi per la digitalizzazione del comparto agricolo finanziati da questo fondo strutturale si sono fermati. Le stesse dinamiche si ripetono ovunque nel Paese senza particolari distinzioni geografiche. La stessa cosa si osserva se si valuta la capacità di spesa in assoluto delle singole regioni, come mostra il prossimo grafico.

Il grafico precedente mostra, sull’asse sinistro e con l’area color oro quanti soldi sono stati stanziati per il Fondo agricolo europeo di sviluppo rurale, sull’asse sinistro la percentuale di spesa delle regioni, in viola. La Provincia autonoma di Bolzano, nel 2017, aveva già speso quasi il 40%o dei suoi stanziamenti. Nel 2016, l’Emilia-Romagna aveva già speso l’8% della sua quota. La Sardegna, nel 2016, era già arrivata al 10%. Eppure, raramente le regioni arrivano a spendere più del 60%. Solo Bolzano è riuscita a raggiungere il 78%, mentre le altre regioni si fermano molto più in basso.

Questa serie di grafici, fin qui, ha dato indicazioni contraddittorie. Mentre, da un lato, gli stanziamenti europei vengono spesi per sostenere pmi, la vera priorità di policy delle regioni italiane sembra essere la tutela dell’ambiente. Tuttavia il cambiamento climatico spinge per un intervento anche su colture e tecniche di coltivazione, ma questo sforzo nello scorso settennato non c’è stato e i pochi fondi stanziati in ricerca e sviluppo non sono stati praticamente spesi. Inoltre, l’utilizzo del fondo strutturale europeo dedicato all’agricoltura mostra poca attenzione all’anello debole dell’agricoltura italiana, i lavoratori, sui quali si decide di non investire per garantire maggiore inclusione sociale e una formazione continua. In sintesi, l’agricoltura italiana rischia di rimanere agganciata a dinamiche tradizionali e non evolversi. Il Pnrr è l’occasione per cambiare rotta.

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Il Belpaese non sfrutta le risorse della Pac per avanzamenti tecnologici e sociali nei campi né per la protezione dei lavoratori. Una rotta che il Pnrr deve invertire
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