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(foto: Unsplash)

Nessun vaccino anti-Covid può affermare di offrire una protezione del 100%, ma sembra non solo che i casi di Covid-19 tra persone vaccinate  siano pochi, ma anche che in media l’infezione causi sintomi più lievi e scompaia più in fretta. A sostenerlo, dalle pagine del New England Journal of Medicine, sono i dati di due studi statunitensi su quasi 4mila persone: Az Heroes (Arizona Healthcare, Emergency Response and Other Essential Workers Surveillance) e Recover (Research on the epidemiology of Sars-Cov-2 in essential response personnel).

Vaccini a mRna: meno casi, meno gravi

Tra dicembre e aprile scorsi, i ricercatori hanno monitorato 3.975 persone (operatori sanitari, lavoratori di servizi essenziali, eccetera), in parte vaccinati con vaccini a mRna e in parte no. Nel campione alla fine si sono ammalate 156 persone non vaccinate, mentre nel gruppo dei vaccinati sono state registrate solo 5 infezioni in persone che avevano completato il ciclo di vaccinazioni e 11 in partecipanti parzialmente vaccinati.

I numeri – riferiscono gli scienziati – confermano ancora una volta le statistiche di efficacia dei vaccini a mRna, che con due somministrazioni offrono una protezione superiore al 90% e con una sola dose all’80% .

Ma lo scopo dei due studi va oltre. I ricercatori hanno monitorato le persone che hanno contratto Covid-19 per valutare eventuali differenze di carica virale, di entità dei sintomi e di durata della malattia e dell’infezione tra vaccinati e non vaccinati. In sintesi, sembra che la carica virale nelle persone vaccinate sia inferiore del 40% rispetto a quelle non vaccinate (che potrebbe suggerire, ma non ci sono ancora certezze, che sia più difficile diffondere il virus).

Nei partecipanti vaccinati, inoltre, l’infezione sembra meno aggressiva: la malattia ha sintomi più lievi (il rischio di sviluppare febbre è stato stimato del 58% più basso che nelle persone non vaccinate, per esempio) e che persistono per meno tempo.

Anche la positività al virus sparisce più in fretta nelle persone vaccinate: in media una settimana contro le due delle persone non vaccinate. Gli studi, comunque, non si fermano, e grazie ai nuovi finanziamenti i ricercatori statunitensi hanno intenzione sia di continuare a indagare l’immunità conferita dai vaccini sia di valutarne l’efficacia nei confronti delle nuove varianti di coronavirus.

Vaccini anti-Covid e varianti

Alcuni dati sulla protezione conferita dai vaccini sia a mRna sia a adenovirus nei confronti delle varianti più aggressive di coronavirus (in particolare la variante Delta, che si appresta a diventare dominante anche nel nostro Paese) ci sono già.

E d’altra parte basta dare uno sguardo ai numeri attuali di infezioni e di decessi per capire che, nonostante i casi stiano aumentando di nuovo, gli esiti siano molto diversi rispetto a quelli delle ondate precedenti, almeno laddove le campagne di vaccinazione sono state efficaci.

Nel Regno Unito, per esempio, dove secondo il sito Our World in Data quasi il 66% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino (per due terzi AstraZeneca, tra l’altro), il numero di nuovi casi giornalieri è cresciuto nettamente nel mese di giugno per effetto delle varianti, ma gli esiti infausti si sono mantenuti su un livello molto  basso e costante nel tempo. Un po’ diversa, invece, la situazione in Russia, come mostrano alcuni grafici di Andrea Palladino, data scientist presso Apheris, rilanciati su Facebook dal biologo Enrico Bucci. In questo caso solo circa il 16% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccini anti-Covid. E se la curva dei casi giornalieri a giugno è cresciuta con un’inclinazione e un numero di casi paragonabili a quella britannica, il numero di decessi è nettamente superiore.

(Immagine: Our World in Data)

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Due studi indicano che le vaccinazioni riducono durata, gravità e carica virale del coronavirus. Un raffronto dei dati di Regno Unito e Russia
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