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Le vite nascoste dei colori
, il nuovo libro di Laura Imai Messina edito con Einaudi, è in vendita da ieri 8 giugno. Italiana, vive in Giappone da quasi 20 anni ed è docente in varie università di Tokyo. Dopo Quel che affidiamo al vento (tradotto in oltre 20 paesi), che si intreccia allo tsunami del 2011, Tokyo tutto l’anno, un viaggio sentimentale nella capitale, e il volume di favole per bambini Goro goro, la scrittrice torna al romanzo. L’abbiamo intervistata.

Sin dal titolo i colori hanno un ruolo centrale nella tua ultima opera.

“Anni fa ho letto un libro sulle tinte tradizionali del Giappone e me ne sono innamorata. Ho scoperto che i nomi dei pigmenti, di solito di origine naturale, erano legati ai fiori oppure ai frutti o, ancora, ai fenomeni atmosferici, come il grigio foschia. Durante il periodo Edo [1603-1868, ndr] esistevano persino dei colori proibiti (come il titolo del celebre romanzo di Yukio Mishima), accessibili solo all’aristocrazia; ecco perché il popolo si è ingegnato per creare sfumature molto vicine agli elementi naturali. Insomma, i nomi dei colori tengono traccia di queste storia”.

E diventano addirittura un elemento narrativo. 

“Per Mio, la protagonista, il colore è qualcosa di vero che viene quasi risucchiato e appiattito da un nome approssimativo. In questo io e lei ci assomigliamo parecchio: mi piace la precisione del linguaggio; ciò che non può essere chiamato, non esiste o diventa secondario anche nella nostra percezione. Come due tipi molto diversi di verde che, per il fatto di essere appellati entrambi verde, sono appiattiti – appunto – l’uno sull’altro. Dare un nome alle cose è un modo di farle esistere”.

Ne Le vite nascoste dei colori, come già in Quel che affidiamo al vento, torna il tema della morte. Lo sente vicino? 

“Con Quel che affidiamo al vento mi sembrava di non averlo esaurito. Volevo continuare a esplorarlo, con la narrazione dei rituali, della gestione del corpo, del modo in cui in Giappone si affronta la cerimonia del lutto, buddhista o shintoista”.

Tornano anche tanti personaggi apparsi nei libri precedenti. 

“Sì, c’è una sorta di crossover con tutti i miei romanzi, in particolare con i protagonisti di Quel che affidiamo al vento, con Sara di Tokyo orizzontale e con Momoko di Non oso dire la gioia. Mi piaceva l’idea di rispondere alle domande: ‘Dove finiscono i personaggi una volta  finito il testo che li ospita?’ e ‘Che cosa sta accadendo loro in questo momento?’. Credo che mi succederà anche in futuro di incontrare di nuovo qualcuno di loro qua o là”.

Qualche mese fa sono uscite anche le tue prime favole per bambini. Come sono nate?

“Dal desiderio di scoprire: sono una persona che si meraviglia sempre molto. Messa di fronte ad attività pratiche, mi sento un disastro clamoroso, anche spiegare le cose in modo razionale è un po’ complesso per me. Invece, invece adoro immaginare storie e in questo i bambini sono interlocutori ideali, perché non vedono la realtà come un ostacolo. Con Goro goro volevo dare voce ai tanti personaggi dell’immaginario giapponese, per esempio Daruma, che è presente in tanti albi illustrati, ma non ha una sua storia canonica: mi sono divertita a immaginarla, insieme ad altre, poi a metterle tutte in relazione. Trovo che nella letteratura italiana ci sia talvolta una certa resistenza allo strano, al grottesco, che invece in Giappone sono molto presenti: quindi, perché non portarli in Italia?”.

Sei mamma di due figli e autrice molto prolifica: come riesci a conciliare tutto?

Tokyo tutto l’anno è stato un’impresa, ho consultato centinaia di libri, tutte fonti originali giapponesi. Goro goro nasceva, invece, dalla necessità di staccare: le fiabe sono stati momenti di pausa e di respiro profondo. I romanzi mi assorbono completamente. Anche a causa della pandemia, Le vite nascoste dei colori è uno dei primi testi che ho scritto davvero a casa mia, gli altri in treno mentre andavo a fare lezione all’università, nei caffè o addirittura chiusa nell’antibagno seduta sullo sgabellino che i bambini usano per arrivare al lavandino: molte delle fiabe di Goro goro sono nate così”.

Sentiamo molto parlare della quarta ondata di Covid-19 in Giappone, che rischia di compromettere le Olimpiadi. Com’è davvero la situazione? 

“Va un po’ meglio rispetto al mese scorso, però bisogna anche tenere presente che i numeri considerati alti in Giappone, 2.400-2.500 casi al giorno in questo periodo, in Europa sembrano molto più moderati. La percezione qui della pandemia è comunque cambiata con l’arrivo della variante indiana, perché i decessi hanno iniziato ad aumentare: prima erano bassissimi e 20 morti al giorno erano ritenuti tanti. L’anno scorso per noi è stato sottotono, ma nel complesso normale, senza veri lockdown. Questi fattori hanno inciso sulla corsa ai vaccini, che è stata presa sottogamba, accumulando un ritardo che si sconta adesso. Le Olimpiadi ormai sicuramente verranno fatte, la gestione non è forse stata ottimale, però parliamo comunque di un paese con un sistema sanitario eccellente e che ha tenuto botta nel corso di tutta la pandemia”.

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In libreria da ieri, 8 giugno, con il nuovo romanzo, la scrittrice torna ai temi cari della perdita e dell’amore. L’abbiamo intervistata su work-life balance, Olimpiadi e la sua terra da quasi 20 anni
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