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Mancano poco più di due mesi alle elezioni per il sindaco di Milano e il centrodestra non ha ancora un suo candidato. L’imprenditore Oscar di Montigny, che sembrava poter essere il nome prescelto dopo la rinuncia di Gabriele Albertini, ha deciso di tirarsi indietro. Una scelta personale che trae però origine dal cattivo clima che si respira all’interno della coalizione del centrodestra. A suo dire avrebbe chiesto un incontro alle dirigenze di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia per condividere idee e visioni in vista della candidatura, ma non lo avrebbe ottenuto. “La coalizione di centrodestra è divisa”, ha detto, accendendo i riflettori su quello che è un problema sempre più evidente e che però si cerca quotidianamente di smentire con parole che, appunto, non sono corroborate dai fatti.

Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini insieme a Roma all’evento “Italian Pride” nel 2019

Di Montigny piaceva a Matteo Salvini, mentre non era troppo ben visto da Silvio Berlusconi. Un po’ come il candidato alle elezioni per il sindaco di Roma, Enrico Michetti, prima scelta di Giorgia Meloni, poco apprezzato dai suoi partner. O come Paolo Damilano, candidato sindaco a Torino, sintesi civica distante da tutti, una scelta fatta non per entusiasmo ma per non darla vinta a nessuno. Le elezioni amministrative di settembre stanno mettendo in luce due elementi: nella migliore delle ipotesi, Salvini, Berlusconi e Meloni hanno espresso nomi non condivisi e su cui permane il conflitto, personalità spesso di secondo piano, semi-sconosciuti, poco in grado di infiammare la competizione. Nel peggiore dei casi invece non sono nemmeno riusciti ad arrivare a questo punto e mentre si intravede il giorno del voto, grandi città come Milano, Bologna e Napoli non hanno ancora un candidato di centrodestra.

Nulla di strano verrebbe da pensare, in fin dei conti trattasi di partiti diversi con ideologie diverse. Da una parte Forza Italia roccaforte moderata e liberale, dall’altra quelle Lega e Fratelli d’Italia che strizzano l’occhio allo stesso elettorato a suon di sovranismo e populismo e che proprio per questo non possono andare troppo a braccetto, altrimenti non avrebbero senso di esistere distintamente. Una differenza di visione che ritroviamo anche nella composizione dell’esecutivo, dove al fianco del premier Mario Draghi siedono tanto Berlusconi quanto Salvini, mentre all’opposizione è rimasta la sola Meloni. Diverse vedute, diverse posizioni, sedute ai poli opposti in parlamento. Che i tre partiti non riescano a trovare nomi comuni, armonia, serena collaborazione riguardo alle elezioni amministrative, non stupisce.

Quello che stupisce è come mentre i fatti dimostrano le divisioni e gli scontri su più o meno ogni cosa, a parole il centrodestra continui a raccontarsi come una creatura inscindibile, unita, dove tutti vanno d’amore e d’accordo. Le tre realtà politiche continuano a parlare di federazione e partito unico, si sprecano similitudini con il partito repubblicano statunitense, si fissano date non troppo lontane per la celebrazione del proprio matrimonio. Berlusconi, Salvini e Meloni vanno insomma avanti nella costruzione di una narrazione che li vuole come icona di unità, mentre la realtà ci dice che si tratta solo di un’etichetta, priva alla base di alcun discorso ideologico e valoriale condiviso.

Il centrodestra vuole offrirsi come alternativa a quel centrosinistra storicamente impantanato nei conflitti interni, o a quel nuovo blocco tra Partito Democratico e Movimento Cinque Stelle che non si sa come riesce a stare insieme esprimendo pure candidati comuni in alcune corse elettorali. Noi siamo diversi, abbiamo credibilità politica perché siamo simili, sembra volerci dire il trio Berlusconi-Salvini-Meloni, eppure poi ogni volta che c’è da riunirsi per decidere qualcosa, l’essenza della coalizione appare la perfetta sintesi di tutto quello a cui in realtà vorrebbero offrire un’alternativa. Fumate nere, conflitti, difficoltà di scendere a compromessi, distanza ideologica hanno la meglio su quell’armonia raccontata in pubblico.

Oscar di Montigny ha fatto un paragone marittimo, interrogandosi se il suo viaggio alla conquista di Milano sarebbe stato a bordo di una nave da guerra o di una zattera e lasciando intendere che si trattava di quest’ultima, motivo per cui ha abbandonato. Il centrodestra continua però a far credere all’elettorato di essere imbarcato su una portaerei, sebbene i fatti mostrino una barchetta alla deriva in mezzo a una tempesta e dove il peggio deve ancora arrivare: la sempre più probabile debacle alle imminenti elezioni amministrative, conseguenza anche e soprattutto dell’incapacità di essere uniti e collaborare al di là delle parole di facciata.

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Voluto da Salvini, bocciato da Berlusconi, il manager, da oltre vent’anni in Banca Mediolanum, ritira la sua candidatura: “Non ci sono più le condizioni”
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