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(Immagine: ©IPGP / D. Ducros)

Mentre il rover della Nasa Perseverance se ne va in giro a scandagliare la superficie di Marte, raccogliendo campioni di rocce nella speranza di trovare anche tracce di vita passata, il lander Insight sta fermo e “ascolta”. Dal febbraio del 2019 il suo sofisticatissimo sismografo, Seismic Experiment for Interior Structure (Seis), ha registrato i deboli terremoti marziani permettendo agli scienziati di capire come sia fatto all’interno il Pianeta rosso. Ed è la prima volta nella storia che otteniamo la mappa della struttura interna di un altro pianeta in tempi record. I risultati delle ricerche sono descritti in tre articoli pubblicati da Science ed è prevista una conferenza stampa che andrà in streaming alle 18 di oggi, 23 luglio, su YouTube.

Pianeta rosso e Pianeta blu: simili ma diversi

Marte per certi versi è simile alla Terra ma anche molto diverso. Non ha un campo magnetico, per esempio, e per questo motivo la sua superficie è spazzata da forti venti solari. Non ha una tettonica a zolle e i suoi vulcani (alcuni davvero enormi) sono concentrati in poche aree, mentre sulla Terra sono diffusi un po’ dappertutto. I terremoti marziani, dunque, sono pochi e di bassa intensità (finora non se ne sono registrati di magnitudo superiore a 4) rispetto a quelli sul nostro pianeta e sono probabilmente originati non dall’attività geologica ma dal fatto che Marte, raffreddandosi, si sta contraendo.

Ma per capire davvero le differenze tra Terra e Marte in termini geologici e di evoluzione avevamo bisogno di ottenere una mappa interna. L’impresa, progettata appena una decina di anni fa, è ora giunta a importanti risultati. E in tempi record, se si pensa che per comprendere l’interno della Terra ci sono voluti secoli e per capire la Luna ci abbiamo messo quarant’anni.

Dai terremoti alla mappa

Il lander Insight è dotato di un sismografo sofisticatissimo, chiamato Seismic Experiment for Interior Structure (Seis). Questo strumento è in grado di captare e registrare le onde sismiche P (primarie) e S (secondarie) sul pianeta rosso (in realtà capta anche un sacco di vento, il che non rende le analisi più facili), che proprio come sulla Terra cambiano velocità e forma in base alle caratteristiche del mezzo in cui si propagano.

(Nasa/Jpl-Caltech)

In questo modo gli scienziati hanno potuto disegnare una mappa interna del pianeta. “Le onde P sono onde di compressione, come quelle prodotte da un suono nell’aria, e sono le onde più veloci che vediamo muoversi attraverso qualsiasi corpo planetario”, spiega la sismologa dell’Università di Colonia Brigitte Knapmeyer-Endrun, autrice principale dell’articolo che descritto la crosta di Marte. “E poi abbiamo le onde secondarie, le onde S, le onde di taglio. Il loro movimento è più simile a quello prodotto dal pizzico di una corda di chitarra che oscilla”, ha aggiunto. Le onde S sono più lente e viaggiano solo attraverso i solidi, le onde P, più veloci, si propagano anche attraverso liquidi e gas. Analizzando i tracciati, in sintesi, si può capire la posizione del terremoto che ha originato le onde e che tipo di mezzo hanno attraversato.

Non è stato comunque un lavoro facile: con un solo sismografo non si riesce a entrare troppo nel dettaglio, senza contare che i terremoti marziani sono pochi e di scarsa intensità.

(Nasa/Jpl-Caltech)

La crosta marziana

Come la Terra, Marte ha una crosta , un mantello e un nucleo, e obiettivo della missione di Insight era cercare di misurare dimensioni, profondità e struttura di questi strati interni.

Secondo gli scienziati della Nasa le misurazioni ricavate da Insight testimoniano che la crosta marziana, lo strato più esterno e più sottile, ha dimensioni diverse in aree diverse del pianeta, ma complessivamente è più sottile e meno densa di quanto si pensasse: tra 24 e 72 chilometri di profondità, con due o tre sottolivelli. Il livello più superficiale della crosta, una decina di chilometri di spessore in media, è inaspettatamente leggero, fatto forse di rocce frantumate dall’impatto di meteoriti; il secondo livello scende in media di una ventina di chilometri, mentre non si è ancora certi se ci sia un altro livello sottostante o se a quel punto si tratti già del mantello.

Il mantello del Pianeta rosso

Come spiega nel dettaglio nel secondo articolo sull’anatomia marziana il team di Amir Khan, geofisico dell’Eth di Zurigo, sotto la crosta c’è un mantello che si estende per 1.560 chilometri ed è diverso da quello della Terra. In particolare non sembra ci sia un mantello interno, ovvero lo strato inferiore che sulla Terra agisce come una coperta che intrappola il calore attorno al nucleo. L’assenza di questo strato, secondo i ricercatori, potrebbe aver contribuito al rapido raffreddamento del nucleo marziano e all’esaurimento dei moti convettivi, quelle correnti che sulla Terra originano il campo magnetico che protegge l’atmosfera dai venti solari. Marte, infatti, non ha un campo magnetico ed è spazzato dai venti solari.

Non è finita qui. Le analisi dei dati di Insight hanno anche “visto” che la litosfera del mantello è spessa, densa, rigida e fredda. Una possibile spiegazione del perché Marte non ha una tettonica a zolle come la Terra, ma le fratture della crosta si pensa siano dovute al fatto che il pianeta, raffreddandosi, si sta contraendo. Alcuni dati sulla magnetizzazione della crosta marziana suggeriscono, comunque, che forse Marte nei primi momenti della sua storia abbia avuto dinamiche simili a quelle terrestri, che potrebbero aver consentito l’origine di forme di vita (di cui siamo alla ricerca).

Il nucleo di Marte

Grazie allo studio delle onde S il team di Simon Stähler dell’Eth di Zurigo, e autore del terzo articolo su Science, ha dedotto che il nucleo di Marte è liquido (non solido come si pensava) e ha potuto ricavare la profondità a cui si trova. Le onde S prodotte da un terremoto, infatti, rimbalzano al confine tra il mantello e il nucleo (ecco perché si deduce sia liquido) e ci mettono una decina di minuti a essere ricaptate da Insight. Da questo gli scienziati hanno dedotto che il nucleo deve trovarsi a 1.550 chilometri di profondità, con un raggio di 1.830 chilometri, che è quasi la metà del pianeta. Inoltre sembra essere molto meno denso del previsto, il che, commenta Stähler, “rimane ancora un po’ un mistero”.

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Grazie ai dati del sismografo del lander Insight gli scienziati sono riusciti a realizzare uno spaccato della conformazione interna del pianeta
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