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Physical è la cronaca della vita di Sheila, casalinga disperata nella California del Sud degli anni ’80 sull’orlo di una crisi di nervi, paladina dell’insostenibile leggerezza dell’essere e protagonista insopportabile. La serie in dieci episodi (da mezz’ora) di Apple Tv+, visibile sulla piattaforma dal 18 giugno e prodotta dall’autrice teatrale Annie Weisman (Desperate Housewives), ha infatti almeno un grande pregio: il coraggio di mettere al centro della narrazione un personaggio realmente meschino, non il solito antieroe ruvido ma sotto sotto nobile alla Dr House. Oggi, fare di un personaggio negativo ma accattivante la star di una serie non è più rivoluzionario: lo è invece, mostrarci un essere umano ipocrita, profittatore, bugiardo, critico e amorale, per di più di sesso femminile, e la Sheila Rubin incarnata da Rose Byrne è così.

L’attrice australiana che aveva già dimostrato un raro talento per i personaggi femminili belli fuori e orridi dentro in film come Spy e Le amiche della sposa, veste i panni fluo e pacchiani (ma che tanto ci piacciono) in voga nel 1986 della casalinga perfetta: carina ma senza gusto, amichevole e gentile con tutti, mogliettina servizievole e madre amorevole di una bimba in grado di produrre urla raccapricciati. Physical rompe l’incanto della famigliola borghese impeccabile permettendo allo spettatore di accedere all’incessante monologo interiore che fa da contrappunto alle interazioni di Sheila con il marito, le amiche, i conoscenti e così via: è un flusso ininterrotto di invettive e critiche – verso se stessa e chiunque altro – per lo più orientato dalla sua ossessione verso il grasso corporeo. Sheila è magra e ha cercato di essere tale per tutta la vita prendendo lezioni di danza che detesta e salta ricorrendo alle scuse più improbabili; sfoga il senso di colpa tramite un umiliante rituale durante il quale si spoglia nuda in un motel, insulta il suo fisico flaccido e ripugnante e si abbuffa di fast food.

Sheila è bulimica, disturbo attorno al quale orbita la sua esistenza fin dall’adolescenza. La bulimia è emblematica del suo disagio e di un’intera generazione cresciuta coltivando ideali – sia lei che il marito hanno frequentato Berkeley – democratici per poi essere schiacciati dal governo reaganiano e ritrovarsi schiavi delle ambizioni più grette e materialistiche che hanno contraddistinto il decennio. Le parole della Weisman e la recitazione di una Byrne, acida e sarcastica, fanno il miracolo riuscendo gradualmente – molto lentamente – a farsi piacere Sheila, un’ottima madre e soprattutto una buona imprenditrice. La donna è molto più talentuosa del mediocre e borioso marito (un irritante Rory Scovel che sottolinea quanto il senso di inferiorità delle donne sia inversamente proporzionale al senso di superiorità degli uomini), insegnante deciso a cimentarsi in politica. Danny trascina pigramente un programma politico da finto hippie ribelle, delegando tutte le incombenze della campagna elettorale alla moglie. Quest’ultima è brillante e di successo, e si realizza contemporaneamente alla nuova passione personale di Sheila, un hobby potenzialmente in grado di cambiarle la vita.

A un certo punto, infatti, Physical si trasforma in Perfect, film simbolo degli anni ’80 con Jamie Lee Curtis nei panni di una statuaria istruttrice di aerobica. Anche Sheila Rubin scopre l’aerobica, diventando ossessiva nei confronti dei corsi di un’intraprendente immigrata di nome Bunny e del suo fidanzato svampito e surfista, aspirante regista. L’aerobica rappresenta la valvola di sfogo in grado di liberarle la mente miracolosamente, sfogare tutta la rabbia e la frustrazione, elevare i suoi pensieri, garantirle il fisico tonico dei suoi sogni e – a suggerirlo è il prologo – trasformarla in una guru del fitness ricca e venerata. È impossibile non notare l’analogia con il percorso di Jane Fonda, che deve la sua fortuna anche alle popolarissime videocassette di fitness per casalinghe, le stesse con cui finanziò la carriera politica del marito Tom Hayden. L’idea fortuita di Sheila di cimentarsi con le lezioni video di aerobica girate amatorialmente è l’ennesima riprova dell’acume di una donna che in gioventù aveva puntato sull’intelligenza e sull’indipendenza – all’università aveva seguito gli studi di genere.

Physical è una serie di non facile fruizione. Come illustrato, si sceglie una protagonista ostica, logorroica, fastidiosa, irredenta: una brutta persona. Tuttavia, l’impianto teatrale della narrazione, i dialoghi acuti, le battute taglienti come il vetro e la critica per nulla velata a una cultura, quella americana, che nei favolosi e patinati anni ’80 aveva toccato il suo nadir, ne fanno una serie da vedere (e ideale per chi ha nostalgia di Glow). In più, Physical si affida all’infallibile effetto nostalgia; tra le tantissime serie che hanno attinto al glamour del decennio dei ciuffi cotonati, emerge come una delle produzioni che catturano meglio lo spirito e l’estetica di quell’epoca superficialmente bella e glamour quanto in crisi e pronta a sgretolarsi sotto la superficie, con una colonna sonora epica che va da We Belong di Pat Benatar a Harden My Heart di Quarterflash. Sheila ne è l’emblema, con la sua permanente esagerata e gli sgambatissimi costumi da aerobica corredati da scaldamuscoli colorati e quella sua personalità sfavillante fuori e vacua dentro, proprio come sono stati gli anni ’80.

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Una fanatica del forma fisica ipocrita e insopportabile, ma se non altro sarcastica, è la protagonista della serie dal 18 giugno su Apple Tv+ che narra quel decennio falso e favoloso. Dal 18 giugno su Apple Tv+
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