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I dati parlano chiaro: dietro lo schermo dei videogiochi non ci sono più solo nerd o ragazzini, ma un pubblico assolutamente eterogeneo – con un potere di acquisto medio alto – composto al 47 % da donne e da utenti compresi in una fascia di età dai 6 ai 64 anni. Nuovi giocatori e nuovi fan, alla ricerca di engagement ed inclusività, che nel 2020 hanno fatto generare al settore un giro d’affari pari a circa 2 miliardi e 179 milioni di euro soltanto in Italia e che si prevede continui a crescere esponenzialmente nei prossimi anni: nel 2022 viene stimato che il mercato globale dei videogiochi varrà circa 200 miliardi di dollari, con un incremento annuale del 9%.

Non stupisce, perciò, che il gaming sia diventato una realtà sempre più appetibile anche per i brand del mondo della moda: dalla storica partnership del 2019 tra Louis Vuitton e League of Legends (piattaforma che ogni giorno arriva a un picco di oltre 8 milioni di giocatori simultanei in tutto il mondo) alla possibilità di vestire i propri avatar su Animal Crossing con skin (ovvero interfacce grafiche da far indossare ai personaggi del videogioco) griffate Valentino, Marc Jacobs o Anna Sui, oggi sono moltissime le case di alta moda – e non solo – che hanno stipulato diverse tipologie di accordi di collaborazione con case di e-games o con squadre di pro-gamer (ovvero i giocatori di e-games a livello agonistico).

La chiusura del mondo tangibile durante la pandemia del 2020 ha costituito un ulteriore boost per l’interesse dei brand nei confronti del mondo virtuale (dove, del resto, si trovavano i consumatori), in generale, e degli e-games, in particolare, tanto da divenire addirittura la piattaforma utilizzata da diversi brand – impossibilitati a sfilare a porte aperte – per presentare le proprie collezioni (uno su tutti, Balenciaga che ha presentato la collezione per la stagione autunno/inverno 2021 attraverso un videogioco ambientato a New York nell’anno 2031 denominato Afterworld: the Age of Tomorrow).

Le opportunità di sperimentazione nell’ambito della relazione tra brand e gaming sono straordinarie e si manifestano a livello di comunicazione pubblicitaria e aziendale, ma anche tramite accordi di merchandising, co-branding e non soltanto: è un mercato fluido, duttile, in continua evoluzione e non ancora esplorato fino in fondo, e così lo sono anche le forme di collaborazione possibili.

Per quanto concerne l’advertising, la collaborazione tra case di moda ed e-games può avvenire attraverso l’inserimento di vere e proprie comunicazioni commerciali all’interno degli e-games (si pensi al trofeo di League of Legends marchiato Louis Vuitton), ma anche tramite forme di product placement e product sampling, fino ad arrivare alla creazione di veri e propri video-games promozionali (come il videogioco B Bounce realizzato da Burberry o il Gucci Arcade e il Gucci Ace realizzati dall’omonima casa di moda fiorentina) e video-games con premi reali (Fendi nel 2019 aveva creato un videogioco disponibile su WeChat per scoprire la città di Roma e tre giocatori si sono aggiudicati un viaggio turistico a spese della maison).

Fenomeno sempre più importante in questo settore è costituito dalla sponsorizzazione da parte delle case di moda di squadre di pro-gamer o di singoli atleti, che spesso hanno raggiunto un tale livello di fama online (leggi “followers”) da poter essere considerati non soltanto degli sportivi a tutti gli effetti (in attesa di una regolamentazione ad hoc), ma anche dei veri e propri influencer. Del resto, un brand come Adidas, per il lancio delle sue nuove scarpe ZX 2K Pure, non ha scelto un giocatore di basket o un calciatore tradizionale, ma il pro-gamer numero 1 in Italia Pow3r, mentre Puma ha deciso di sponsorizzare l’intera squadra di e-gamer Gen. G (squadra di League of Legends).

Ancora, Gucci ha collaborato con Fnatic (uno dei principali team europei e mondiali di e-sports) per la creazione di una serie limitata (capsule collection) di orologi subacquei, dando vita ad un vero e proprio prodotto in co-branding. Così se il simbolo della doppia G fino a ieri agli insider della moda evocava esclusivamente il marchio Gucci, oggi forse richiamerà loro anche l’espressione tipica del mondo del gaming “Good Game!” (ossia “Buona mossa/Buona giocata!”). Questa tendenza, indubbiamente, fa pensare a quanto sostenuto da Ari Segal (ceo di Immortals Gaming Club) “Everyday a baseball fan dies and two gaming fans are born”.

La gamification offre alle imprese un modo originale e all’avanguardia per farsi conoscere, facendosi pubblicità e ingaggiando una cospicua nuova fetta di consumatori (nativi digitali e non soltanto). Il gioco, si sa, può diventare virale grazie alla condivisione, accrescendo così l’efficacia della relazione tra brand ed e-games. Peraltro, come emerso dal Rapporto sugli e-sports in Italia 2021 pubblicato da Iidea (Italian Interactive Digital Entertainment Association) il 26 maggio 2021, ad oggi le collaborazioni con gli e-sport hanno dato agli attori coinvolti “una connotazione di eccellenza caratterizzata da un forte grado di innovazione e un vantaggio competitivo in termini di percezione del brand rispetto ai competitor che non operano in questo ecosistema”. Direi che, a questo punto, non mi resta che augurare a sempre più brand “Good Game!”.

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Stilisti e maison creano alleanze con i titoli più giocati e tornei. Il boom dell’industria dei videogiochi cambia le regole anche per quella del lusso
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