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Con l’approvazione di una serie di emendamenti al disegno di legge, il Consiglio dei ministri ha ufficialmente dato il via libera alla riforma della giustizia penale firmata Marta Cartabia. Una piccola rivoluzione dopo la clave giustizialista arrivata sull’Italia con la legge “Spazzacorrotti” del 2019 dell’ex ministro dell’esecutivo giallo-verde Alfonso Bonafede, che cancellava la prescrizione dopo la sentenza di primo grado e così non faceva altro che allungare i già infiniti tempi processuali nostrani. Ora le cose cambiano, o meglio cambieranno dopo che a fine mese il parlamento si pronuncerà sul ddl, ma l’approvazione appare scontata visto il sostegno bipartisan. Gli unici a soffrire il nuovo testo, in realtà, sono i pentastellati di governo, che vedono cadere un altro dei loro pilastri programmatici originari, camuffando il loro dispiacere con un sorriso tirato per alcune mediazioni ottenute in Cdm che però non cambieranno lo stato delle cose.

Marta Cartabia, Ministro della Giustizia – immagine iPa

La riforma della giustizia penale interviene su diversi aspetti e il più importante di tutti è, appunto, la prescrizione. Se Bonafede l’aveva sospesa dopo il primo grado di giudizio, Cartabia voleva reintrodurla senza condizioni. Alla fine c’è stato un compromesso con la fronda pentastellata che funziona solo a parole, perché nei fatti la prescrizione (o un meccanismo diverso ma con gli stessi effetti) tornerà a operare. Infatti, la prescrizione dopo la prima sentenza rimane ma il giudizio nei gradi successivi dovrà avere una durata limitata: due anni per l’appello e un anno per la Cassazione. Superati questi termini, si va nell’improcedibilità e il processo muore, che non significa prescrizione ma che nei fatti si tratta di questo. Per alcuni reati gravi legati a terrorismo o mafia i tempi per l’improcedibilità in secondo e terzo grado sono più lunghi, tre anni in appello e 18 mesi in Cassazione, e il Movimento cinque stelle è riuscito a ottenere che in questa classe di delitti vengano iscritti anche quelli contro la pubblica amministrazione, forse l’unica vera e concreta vittoria.

Altre novità riguardano la riduzione dei tempi delle indagini preliminari e il rinvio a giudizio che deve realizzarsi con criteri più stringenti e non in modo troppo flessibile, nel senso che per il pm ci dovrà essere in base agli elementi raccolti una “ragionevole” previsione che la sentenza del giudice possa essere di condanna. Un altro aspetto importante riguarda infine le misure alternative al carcere, che avranno una corsia più preferenziale rispetto a prima per i reati minori. 

Quello che esce dalla riforma è insomma un impianto nuovo per la giustizia italiana, che andrà a influire su alcune delle principali problematiche nostrane sul tema: la durata infinita dei processi, la cui riduzione è una delle richieste da parte dell’Europa per sbloccare le risorse del Recovery Fund; il sovraffollamento delle carceri, altro tema per cui l’Italia viene da anni bacchettata da Bruxelles. La nuova impalcatura dà una spallata al giustizialismo spicciolo, quello per cui non esiste ragione temporale o di altro tipo alla certezza della pena, e dunque appare come una coltellata al cuore per quel Movimento cinque stelle che proprio su questo ha posto tutti i suoi sforzi del passato più o meno recente. Non è un caso che il voto in Consiglio dei ministri sia stato dei più tribolati, con la compagine pentastellata senza guida e in preda ai soliti correntismi, che prima voleva astenersi, poi è stata convinta dal premier Draghi a votare a favore per senso di responsabilità e nascondendosi dietro quei “contentini” che nel concreto non cambieranno il loro tradimento all’impianto bonafediano.

Con la riforma di Cartabia, ministra di un governo di cui il Movimento cinque stelle fa parte, cade insomma un altro dogma pentastellato e ormai non si contano più i dietrofront e le pillole ingoiate controvoglia dai grillini da quando hanno completato la scalata al palazzo. Perfino Il Fatto Quotidiano, giornale non ufficiale di partito, ha parlato di un Movimento che “si cala le braghe”, a riprova di come quelle paventate conquiste sul prolungamento dei tempi per i reati contro la pubblica amministrazione e sul non utilizzo del termine prescrizione per quella che sarà una prescrizione a tutti gli effetti sono piccoli mattoncini con cui è impossibile ricostruire una credibilità politica.

Il momento più buio del Movimento, quello del consenso ai minimi storici dall’exploit del 2018 e della rissa interna tra contiani e grillini che ci sta offrendo una fase di anarchia senza leadership, doveva ancora vivere il suo episodio peggiore: la demolizione di una di quelle cose a cui l’universo pentastellato teneva di più, il suo giustizialismo integralista.

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Traballa un altro pilastro del Movimento, la legge “Spazzacorrotti” del 2019: con l’approvazione, la prescrizione tornerà a operare. Altre novità riguarderanno la riduzione dei tempi delle indagini preliminari e il rinvio a giudizio
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