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The Suicide Squad – Missione suicida è appena arrivato nelle sale e chi l’ha già visto sa di aver assistito al cinecomic più oltraggioso, bizzarro e memorabile dell’ultimo lustro. James Gunn, acclamato regista de I Guardiani della Galassia – licenziato e poi riassunto dai capi Disney – ha debuttato nel 1996 insieme a Lloyd Kaufman con Tromeo and Juliet, delizioso horror erotico della Troma (casa di produzione artefice di altri capolavori di serie Z come The Toxic Avenger e Surf Nazi Must Die). Per gli appassionati che già lo conoscevano, osservarlo farsi violenza per adeguare la propria visione artistica estrema e adulta agli standard degli innocui titoli Marvel è stata una pena. The Suicide Squad – Missione suicida, sequel (o meglio, reboot) di Suicide Squad del 2016 è l’opera che il regista americano, sganciatosi dagli eroi Marvel, ha creato per Warner, carico dell’ebbrezza della libertà artistica scevra da censure.

Incentrato su una missione – eliminare le prove dell’esistenza di un laboratorio che sperimenta un’arma di distruzione di massa aliena – affidata a un gruppo di supervillain costretti a operare per conto del governo statunitense sotto l’egida della persuasiva Amanda Waller, il film riprende alcuni personaggi del precedente, come l’incontenibile criminale Harley Quinn e l’integerrimo soldato Rick Flag, ai quali affianca un folto contingente di new entry. Tra queste, i mercenari e killer infallibili Bloodsport e Peacemaker, l’uomo squalo Nanaue, la domatrice di ratti Ratcatcher 2 e Polka-Dot Man, una sorta di Norman Bates che uccide gli avversari sparando letali e coloratissimi…. pois. The Suicide Squad – Missione suicida viene distribuito dopo un calvario di intoppi provocati (anche) dal tentativo della casa di produzione di non incappare nei medesimi errori che avevano fatto dell’originale un fallimento.

L’avvento di James Gunn è stato salvifico e il risultato è un lavoro iperviolento, eccessivo, splatter, psichedelico e – a modo suo – tenero. Il regista ha rimosso ogni remora verso la decenza e il decoro, che ammantano pressoché tutti gli adattamenti di fumetti (compresi The Walking Dead e The Boys) per renderli edibili alle masse un po’ schizzinose e ai ragazzini che si appassionano più al merchandise legato ai cinecomic. La sensazione è di assistere a un film-trip, dove Gunn sfoga tutta la fantasia vietata ai minori che ha dovuto trattenere per anni per contratto, come accaduto ad altri geniali registi marveliani, per esempio Joss Whedon e Taika Waititi.

Dicevamo che The Suicide Squad – Missione suicida è soprattutto un reboot, e lo si evince anche dai personaggi: Flag non è più il malmostoso e rigido schiavetto del governo, ma un’entità pensante provvista finalmente di senso dell’umorismo; Harley Quinn è sempre adorabile e sexy, però non è più costretta a lottare protetta solo da un paio di shorts striminziti; con i centimetri in più di stoffa del suo stilosissimo abito da sposa rosso crescono anche l’umanità, la saggezza e il prorompente girl power con cui abbatte la sua attrazione autolesionista per i cattivi ragazzi.

Idris Elba nei panni di Bloodsport è fondamentalmente la versione migliorata (recita alla grande, è più sexy e in lingua originale sfoggia uno splendido accento britannico) di Will Smith/Deadshot nel capitolo precedente: i due hanno profili quasi identici e seguono le medesime dinamiche relazionali – entrambi sono leader riluttanti, vittime di ricatto e figure paterne verso la più giovane della squadra. Fa parte di una selva di villain squinternati ed eccentrici tanto nella personalità quanto nei costumi, ai quali James Gunn ritaglia uno spazio individuale per dare sfogo ai rispettivi traumi ed emozioni. The Suicide Squad – Missione suicida, dunque, è un film sentimentale, l’espressione dell’affetto che il regista ha per tutti i suoi personaggi umani e non.

Lontano dagli adattamenti cinematografici dedicati a Superman, a Batman e alla Justiche League, in genere seriosi, lugubri e deprimenti, The Suicide Squad – Missione suicida in questo senso è più vicino a Deadpool, altro cinecomic vietato ai minori che gioca con gli eccessi e ama provocare lo spettatore più sensibile. Tuttavia, se i film con Ryan Reynolds puntano all’irriverenza del linguaggio e del sesso, l’ultimo di James Gunn si crogiola in un’iconografia variopinta e lisergica, nella satira sociale e politica senza mezze misure. È pur vero che il regista adora indugiare su corpi squartati, teste che esplodono e mutilazioni assortite, ma la sua violenza sa essere poetica, specialmente quando trasforma il sangue e gli arti mozzati nei fiori e negli uccellini del sogno di una Harley Quinn in versione principessa delle fiabe. I mostri color pastello – come l’enorme Starro The Conqueror (un incrocio di Atraxi e Ibridi Dalek di Doctor Who) che evoca i kaiju nipponici in stile Godzilla e Mothra – rivelano una pericolosità letale camuffata dall’aspetto cartoonesco di deliziosi animaletti.

The Suicide Squad – Missione suicida è eccessivo nella messa in scena, ma è puro nei principi: i membri del mal assortito team sono dei villain, eppure hanno una morale; mentre gli antagonisti, come il sadico Thinker di Peter Capaldi, sono dei mostri irredimibili. Così Bloodsport & Co. si fanno amare tanto quanto, se non più, i supereroi integerrimi, lamentosi e grigi della Dc. Ecco, perché, a modo suo, questo film è il cinecomic con più cuore del decennio, l’opera appassionata di un regista dall’anima geek.

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L’incursione di James Gunn nel mondo DC Comics è un’opera insolente, violenta e fantasiosa, che finalmente libera il genere supereroistico dalle edulcorazioni imposte da ragioni commerciali
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