
Il green pass è un’idea sacrosanta. Però non dovremmo trasformarla in una farsa contraddittoria. Questo sta invece pericolosamente accadendo in questi giorni rispetto all’applicazione nei posti di lavoro, sui trasporti a lunga percorrenza e nelle scuole, ambiti che dovrebbero essere al centro di un prossimo decreto del governo in arrivo entro la fine della settimana. Anche in quei luoghi dovrebbe essere obbligatorio esibire la certificazione verde Covid-19, così come per rimanere un paio d’ore a cena in un ristorante.
È infatti abbastanza folle che un cittadino qualunque debba disporne per cenare al chiuso due ore e non, ad esempio, per andare al mattino dopo in ufficio e rimanerci magari otto ore se non di più. Così come pare assurdo che due genitori debbano mostrare il green pass per portare il figlio 12enne in piscina ma possano rischiare di trovare l’istruttore di nuoto non vaccinato. Per non parlare della scuola, dove c’è ancora un 15/20% di resistenti alla vaccinazione: quello stesso bambino a cui viene richiesto il green pass per la piscina o la palestra si ritroverebbe per gran parte della giornata in un luogo, l’istituto scolastico, in cui potrebbe incrociare maestri, professori e personale non vaccinato. Altro che Macron: questa è una presa in giro. Qual è il problema di imporre anche ai docenti, fin dall’inizio della campagna vaccinale categoria prioritaria, l’obbligo vaccinale?
La domanda è semplice: a cosa ci serve un green pass a macchia di leopardo, imposto solo alla generalità delle attività di svago – per giunta con la sola prima dose – ma non a chi lavora in luoghi chiusi per ore o a continuo contatto con le persone? Il contagio non distingue le tipologie di ambienti al chiuso, i momenti della giornata o le mansioni lavorative, non fa differenze fra cliente e cameriere o maestro e alunno: può colpire in ogni contesto promiscuo e appunto al coperto, specie con l’avanzare della stagione autunnale. Abbiamo in mano un meccanismo formidabile in termini di salute pubblica, in grado di tutelare anche la ripresa economica, ma non abbiamo il coraggio di sottrarlo allo scambio politico. Da Salvini agli operatori turistici che puntano a richiederlo per i trasporti solo da settembre ai sindacati che mentre si dicono favorevoli ovviamente si oppongono a ogni demansionamento per chi non dovesse accettare (le solite regole all’italiana, quelle senza sanzioni).
A quanto pare il green pass sarà come minimo richiesto ai lavoratori di quelle attività dove l’obbligo sarà già previsto per i clienti dal 6 agosto. E ci mancherebbe: alberghi, ristoranti, circoli sportivi, palestre, centri estetici e così via. Se chiedi al cliente di vaccinarsi o tamponarsi, devi fornirgli la massima sicurezza oltre che una coerenza generale sul fatto che gli operatori con cui verrà in contatto siano anch’essi protetti.
Ma la verità è una sola e potremo pure tirarla per le lunghe col solo risultato di lasciare spazio alla variante Delta, salvo arrivarci prima o poi con l’ineluttabilità dei numeri: il green pass è destinato a essere utilizzato per tutte le attività, in tutte le situazioni che non siano all’aperto. È dunque proiettato all’obbligatorietà in tutti gli ambiti, da quello scolastico a tutto il mondo imprenditoriale: ad esempio è impossibile accettare che anche solo un 15% di docenti non sia immunizzato. E sarebbe necessario anche sui trasporti pubblici locali, se la loro gestione e organizzazione in Italia non fosse un Far West: basterebbe vendere i biglietti e gli abbonamenti solo dietro lettura del QR Code. Il green pass è il nostro lasciapassare per l’autunno e l’inverno: o è richiesto a tutti, dappertutto al chiuso, o farà la fine delle vecchie autocertificazioni.
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Ci serve per cenare al ristorante ma non per trascorrere la giornata in ufficio? Impossibile applicarlo in questo modo. Salvini o no, la certificazione dovrà essere richiesta per tutte le attività al chiuso, scuola compresa
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